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Riccia, fede e tradizione nel giorno di San
Giuseppe |
Riccia, 19 marzo 2018
da Il Quotidiano del Molise
Giornata di grandi festeggiamenti quella odierna a Riccia,
in cui la comunità è accomunata dalla celebrazione della
ricorrenza di San Giuseppe e dal forte desiderio di
rinnovare un’ antica tradizione. La devozione tanto
radicata tra i cittadini riccesi sembra sia nata da una
leggenda trasmessa di generazione in generazione. Si
tramanda che un povero viandante, spostandosi di paese in
paese, bussava alle porte della gente per elemosinare un
ricovero, senza purtroppo ottenere nessun aiuto. Con
grande stupore, giunto a Riccia, un altro uomo, nella sua
semplicità e secondo le sue possibilità, gli offrì
ospitalità, dividendo con lui una piccola quantità di
ceci, fagioli e fave. Prendendo spunto da questo episodio,
nel Comune del Fortore i devoti vollero riconoscere in
quest’uomo il falegname di Nazareth, facendo nascere così
la tradizione della Tavola di San Giuseppe che ogni anno
viene riproposta con profonda dedizione.
E proprio sulla scia di questo atteggiamento di
accoglienza verso i più disagiati, si è sviluppata la
forte devozione della comunità riccese verso l’umile
artigiano, figura storica ed emblematica che rappresenta
per il mondo cristiano un essenziale punto di riferimento,
un pilastro di coerenza e di fortezza, un cardine a cui
ispirarsi per salvaguardare l’unità familiare, messa
gravemente a rischio in questi ultimi decenni. San
Giuseppe resta oggi il Santo per eccellenza della pietas
popolare, assunto a modello dalle classi più povere e
padre che nutre e protegge la famiglia. Rivestito di volta
in volta di tutte le principali virtù tra cui spiccano
quelle della solidarietà e dell’ospitalità.
Sulle origini storiche della festa di San Giuseppe non si
dispone di molte notizie. Il culto del santo ebbe una
progressiva diffusione in Italia dopo il X secolo. Nel
1470 Papa Sisto IV lo inseriva ufficialmente nella
liturgia, consacrandogli il diciannovesimo giorno di
marzo, ma solo con l’Ottocento la sua importanza poteva
dirsi completamente riconosciuta. Nel 1870, infatti, San
Giuseppe veniva dichiarato patrono della Chiesa
universale. Come è riportato sul sito della Pro loco “il
primo altare a Riccia in suo nome, consacrato nella chiesa
dell’Annunziata, porta la data del 1883. Il Brunetti, con
un suo dipinto del 1690, lo vede ritratto, insieme ad
altre figure e con il suo emblematico bastone fiorito,
alle spalle dell’altare maggiore della chiesa
dell’Immacolata Concezione, già cappella del soppresso
Convento dei Cappuccini, in Piazza Umberto I”.
A Riccia, la ultrasecolare ricorrenza è legata, inoltre,
alla cura del suo particolare aspetto gastronomico che
premia la consolidata consuetudine con il consumo di cibi
squisiti e tipici della zona. La Tavola di Primavera
rappresenta la conclusione dei sette mercoledì di San
Giuseppe, in cui i riccesi non hanno mangiato carne e
nella case si è recitata la preghiera dei setti dolori ed
allegrezze. Ancora forte il senso devozionale, che non ha
fatto desistere la maggior parte delle famiglie di Ricca,
nonostante il lievitare dei prezzi di alcuni ingredienti
(come mandorle e baccalà), a rinunciare all’acquisto del
necessario per preparare le tredici pietanze – numero
corrispondente ai tredici privilegi di San Giuseppe – e le
migliaia di calzoni, che sono stati poi “sp’ nsat” a
parenti, conoscenti ed amici di tutto il Molise. Oggi,
nelle case dei devoti sarà esposto il quadro della Sacra
Famiglia, ponendo attorno ad esso ceri e vasi di fiori.
Le, nel rispetto delle regole tradizionali. Per dare
inizio al pranzo devozionale, che sarà servito dalle
massaie riccesi con 13 pietanze, si attenderà l’arrivo
della Sacra famiglia, composta da tre figure
rappresentanti la Madonna, Giuseppe e il bambino Gesù.
Gli invitati si siederanno intorno alla tavola e daranno
inizio alla recita del rosario, accompagnando le preghiere
dall’inno di San Giuseppe. Dopo una intensa giornata di
festeggiamenti, i partecipanti si saluteranno ribadendo la
frase che conclude la ricorrenza di San Giuseppe: “A chi è
vivo, l’anno che viene!”.
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