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Quando
il fuoco frena la fuga dei giovani dai paesi senza
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Colletorto,
20 gennaio 2014
Quando
il fuoco frena la fuga dei giovani dai paesi senza futuro.
Il caso dei falò di Sant’Antonio
I fuochi in onore di Sant’Antonio, una delle tante
usanze diffuse in Basso Molise, richiamano numerosi
visitatori ed ex residenti che rientrano nei piccoli
centri. E’ il caso di Colletorto dove molti giovani e
associazioni hanno rinnovato il rito dei falò dedicati al
Santo Protettore degli animali. Impegno, tante presenze e
festa fino all’alba con un interrogativo: se ci fossero
opportunità di lavoro più che di rientri si potrebbe
parlare di incontri. E invece la "fuga"
continua, rallentata dalle fiamme delle tradizioni che
ardono senza se e senza ma tra le strade e le case delle
piccole realtà. di
Fabrizio Occhionero da www.primonumero.it
Colletorto.
Li vedi con lo smartphone tra le mani, che sia Apple o
Samsung non importa. Troppo presi da questi inseparabili
amici virtuali, a volte riescono a spegnerli o, comunque,
a lasciarli in tasca per un po’. E tra una «tappata» e
l’altra a suon di dita, con le mani afferrano una
carriola, una motosega oppure si mettono direttamente a
bordo dei trattori. Obiettivo comune: rispettare e
rinnovare la tradizione che segna anche l’inizio del
periodo del carnevale.
Anche
quest’anno i fuochi in onore di Sant’Antonio Abate
hanno coinvolto intere generazioni a Colletorto. E per un
giorno tutti insieme a fare la legna, ad accatastarla e a
fare in modo che tutto sia «perfetto» per la serata. Non
si sono affatto sbagliati i giovani del paese, motore
delle tradizioni; loro e pure le associazioni e le
famiglie pronte ad assicurare l’impegno per rinnovare un
rito che si perde nel tempo e legato al significato
ancestrale del fuoco. Uno di loro si chiama Walter e sulla
sua bacheca si Facebook o «Feisbùk» come qualche
genitore o nonno si lascia andare per pronunciare il nome
del social network «anema e core» di tante persone -
giovani e meno giovani - pubblica il seguente post:
«Affinché la tradizione continui ci vuole l’impegno
delle giovani generazioni e l’esperienza delle
generazioni più grandi. Fire fire. Colletortese all’estero
torna a casa».
Presto
detto non è che dall’estero siano partiti voli speciali
prenotati con Ryanair ma in molti ex residenti sono
rientrati in paese la sera del 17 gennaio e tanti altri
«visitatori» hanno fatto tappa a Colletorto così come a
San Giuliano di Puglia o a Montorio nei Frentani per
partecipare e condividere una festa durata per tutta la
notte. «Siamo stati accolti molto bene - afferma una
donna di Prato - non avevamo mai seguito questa tradizione
e devo dire che è molto particolare e trasmette un forte
messaggio di condivisione». Molto grandi, davvero enormi
i falò allestiti nei vari rioni del paese, in particolare
lungo Corso Vittorio Emanuele e nei dintorni della Torre
Angioina grazie pure alle associazioni del Gruppo Storico,
dei Cavalieri Angioini e della Pro loco.
Come
da consuetudine, il parroco don Mario Colavita benedice il
primo fuoco che si accende all’imbrunire e poi la brace
benedetta andrebbe distribuita negli altri fuochi in onore
del Santo Abate conosciuto come il protettore degli
animali. Ma lo stesso sacerdote ha fatto un giro tra i
vari falò ribadendo «la forte valenza di un rito che si
perde nel tempo e il senso dell’unità e della
condivisione che si diffondono intorno alla luce dei
fuochi di Sant’Antonio».
Entusiasti
i tanti giovani arrivati dal circondario, da Termoli e da
fuori regione per condividere momenti di svago, incontro e
ritrovare gli amici dell’infanzia. Lucia ricorda
«quando era bambina e il fuoco allestito dai nonni
davanti casa per stare tutti insieme e raccontare anche le
storie, i "cùnt", tra mille aneddoti del
passato». Traspare anche tanta emozione tra gli adulti ma
sono proprio le nuove generazioni a farsi carico di una
grande responsabilità. Non sono certo i «bad boys» che
sfasciano i vetri, sfondano le vetrine o devastano le
panchine ma ragazzi volenterosi pronti a mettersi in gioco
per non far morire un piccolo centro quasi isolato dal
lavoro che non c’è.
E’
proprio questa la responsabilità: impegnarsi per far
vivere un paese. Ma anche un rischio che vale qui come
negli altri centri del territorio. Restare a quali
condizioni. La fiamma che continua ad ardere fa pensare
anche a questo. Se alimentarla o se contribuire a
spegnerla. Il combustibile umano c’è, quello
occupazionale no. E allora sarebbe bello condividere tanti
momenti non solo la sera, la notte del 17 gennaio ma anche
durante tutto l’anno se ci fossero le condizioni per
rimanere. «Ora non ci pensare e fatti un bicchiere di vin
brulé» sdrammatizza Giovanni. E ci mancherebbe se uno
non se lo fa. La brace resta pure il mattino successivo.
(Pubblicato
su www.primonumero.it il 19/01/2014)
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